La pandemia sta diventando l’occasione per rimandare interventi strutturali a un ipotetico dopo che si suppone, un po’ ingenuamente, uguale al prima. L’intervento sulla scuola risponde a questa logica, con misure temporanee, dettate da un’emergenza che si sta cronicizzando, che sembrano finalizzate a guadagnare tempo in attesa di un “ritorno alla normalità” che, tuttavia, non potrà bastare. Poiché la “normalità” cui torneremo non sarà ai livelli – produttivi, occupazionali, assistenziali – di prima, anzi saranno macerie da raccogliere per ricostruire. Investire sulla scuola sarà una delle strade da percorrere.
LA SCUOLA PER USCIRE DALLA CRISI
La crisi del 2008 è infatti stata meglio superata da quei paesi che hanno investito in educazione. In quegli anni di crisi, che coincisero con una riorganizzazione dell’economia produttiva, determinando nuove gerarchie nei paesi industrializzati, favoriti anche dal passaggio alla tecnologia 4G, la Germania spendeva l’11% del PIL in istruzione, concentrandosi sulla necessità di far emergere quei nuovi saperi e quelle nuove competenze necessari a governare la transizione. E l’Italia?
Ebbene, l’Italia ha fatto il contrario. Nel 2009, anno in cui la crisi ha cominciato a colpire la nostra economia, si è proceduto con un netto taglio dei fondi, arrivando a spendere appena il 7% del PIL¹ per l’istruzione e la formazione, ponendosi in coda all’Europa e gettando le basi per una ripresa fragile e insufficiente. La pandemia sta causando una nuova crisi economica. Investire sulla scuola diventa imperativo.
GLI INTERVENTI PER IL COVID
Gli interventi fin qui adottati per fronteggiare la crisi non fanno ben sperare. Non tanto per i famigerati ‘banchi a rotelle’ che hanno messo a nudo la scarsa visione politica, quanto per la mancanza di una visione complessiva in cui le misure per fronteggiare l’emergenza non si legano a un disegno a lungo termine. La numerosità degli allievi per classe, la mancanza strutturale di insegnanti, un corpo docente anziano (il più anziano d’Europa) che fatica a riqualificarsi nel segno di una didattica basata su metodologie innovative, le scarse competenze digitali dei docenti (e di conseguenza degli alunni) in scuole il cui habitat tecnologico è assente o vetusto. Tutti problemi che ci hanno fatto arrivare impreparati all’emergenza COVID e che non sono stati affrontati dai pur molti decreti licenziati in questi mesi.
SULLE SPALLE DEI DOCENTI
D’altro canto, il mondo della scuola non è mai stato consultato né coinvolto, lasciando tuttavia ai docenti (e ai dirigenti) l’onere di organizzare la sicurezza negli istituti scolastici. Poiché si sappia: la sicurezza negli istituti è stata del tutto demandata ai docenti i quali, fin da agosto, si sono impegnati a misurare distanze, incollare nastri adesivi, spostare banchi, ripulire classi, e oggi monitorano le condizioni di salute degli alunni, misurano la febbre, telefonano alle famiglie e si coordinano con le istituzioni sanitarie. Questo è stato fatto dai docenti e non da ipotetiche figure tecniche o sanitarie.
La pressione sociale, la quantità di lavoro, la responsabilità quotidiana di chi espone sé stesso al rischio di contagio in spazi chiusi e male aerati, non è valsa la considerazione da parte della politica che – per ovviare ad altre mancanze organizzative, dai trasporti alla sanità – ha deciso di colpire l’istruzione, chiudendo le scuole senza considerazione per le ricadute in termini educativi, formativi ma anche di esclusione sociale e abbandono scolastico che la “didattica a distanza” comporta (si legga: “A distanza non è didattica. Le scuola è l’ ultima che deve chiudere“).
ANDRA’ TUTTO BENE?
I problemi della scuola non verranno risolti da interventi occasionali ed emergenziali, anzi si aggraveranno. Quando l’ormai durevole “emergenza” sanitaria terminerà, assisteremo non a un ripristino della “normalità” su livelli precedenti ma a un ulteriore degrado della scuola, che sarà più povera, più vecchia, più stanca e più sola di prima. Solo investimenti cospicui, uniti a una visione del futuro di lungo respiro e condivisa dalle forze politiche e sociali del paese, potrà produrre quella ripresa civile ed economica di cui avremo bisogno. Tuttavia le premesse non fanno ben sperare.
¹ Dati UNESCO, indice Expenditure in Education
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