La scuola è, nel concetto di molti, un locale chiuso, riscaldato, con sedili comodi, ove si mandano i ragazzi per toglierseli dai piedi, e dove s’imparano provvisoriamente delle cose che in fondo non servono. Questo è soprattutto il ragionamento dei molti politici che, in queste ore, stanno licenziando provvedimenti di chiusura, totale o parziale, degli istituti scolastici al fine di contenere la diffusione del virus, convinti che l’insegnamento possa tranquillamente svolgersi con modalità online. Non è così.

A DISTANZA NON È DIDATTICA

Ci sono cose che a distanza non si possono fare, tra le più belle direi, di quelle che rendono la vita degna di essere vissuta, piena e goduta, tipo l’amore. Fare l’amore online non si può, con buona pace di chi ci prova. Ecco, forse perché appartiene a un sottoinsieme di questa grande categoria che è l’amore, nemmeno l’insegnamento si può fare a distanza. Qualcuno storcerà il naso. Che ci vuole? Tu spieghi, quelli ascoltano. E imparano! Come no.

No. La scuola, da almeno vent’anni, adotta metodologie tutt’affatto diverse dalla lezione frontale, quella con cui siamo cresciuti noi, quella del professore che spiega e degli alunni che imparano. Perché quella modalità non è efficace. Anche qui ci saranno nasi a storcersi. Ma come, noi siamo venuti su benissimo! Boh, se a voi questo paese sembra venuto su benissimo, allora mi taccio. Tuttavia secondo un’indagine Piaac – Ocse (2019) in Italia il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale, cioè non capisce davvero quello che legge o che gli altri gli dicono. Il dato è tra i più alti in Europa. Fate voi.

La didattica a distanza, quella online, consente unicamente modalità di lezione frontale. L’ausilio di software in grado di produrre presentazioni, condividere video, elaborare testi e somministrare verifiche, rende possibile l’insegnamento a distanza ma non ne modifica la natura frontale. Attenzione, ci sono modalità di lezione frontale assolutamente efficaci (come quella dialogica o maieutica) ma non si adattano a ogni contenuto e a ogni disciplina, e richiedono un brainstorming, perdonate l’anglismo, che in modalità online si traduce in “non si capisce un cazzo di quel che state dicendo”.

Le scienze sociali, dalla sociologia all’antropologia, dalla psicologia alla pedagogia, hanno consentito di sviluppare metodologie didattiche assai più efficaci, di tipo laboratoriale e cooperativo, che consentono apprendimenti durevoli e significativi, favorendo l’inclusione e riducendo il rischio di dispersione scolastica. Tutta questa roba, ignota ai più, non si può fare a distanza. Semplicemente perché a distanza non si può fare didattica.

DIDATTICHE OFFLINE

Può apparire un controsenso, ma una didattica al passo coi tempi è necessariamente offline. Perché oggi non si insegna più la donzelletta che vien dalla campagna a memoria, non si richiede di appiccicarsi in testa nozioni storiche o geografiche, non si va di grammatica a peso. L’insegnamento oggi punta all’apprendimento significativo, cioè che si colleghi alle conoscenze dell’alunno e che abbia un senso nella sua vita reale. Lo scopo è sviluppare competenze (pratiche, relazionali, emotive, ma anche specifiche delle varie discipline, come la comprensione di un testo o il problem solving) che al giorno d’oggi servono come il pane perché il mercato del lavoro e il mondo produttivo cercano ragazzi capaci di affrontare problemi e risolverli, di adattarsi alle situazioni, di essere flessibili, resilienti, di avere buone capacità relazionali. Questa è tutta roba che non si può fare online.

GLI ESCLUSI DELL’ONLINE

La scuola oggi è caratterizzata dalla diversità, culturale e cognitiva, e ogni alunno ha il sacrosanto diritto di ricevere un insegnamento adatto a lui, alle sue peculiarità, che gli consenta di sviluppare competenze e acquisire conoscenze come gli altri, ma per una via propria. Si chiama didattica dell’inclusione. Richiede una miriade di interventi, di attenzioni, di sostegno ma richiede anche pacche sulla spalla e parole di incoraggiamento. Non è possibile prevenire l’esclusione sociale, o peggio la devianza, con la didattica online. Non si può integrare un alunno disabile con la didattica online. Non si può insegnare a stare insieme agli altri a ragazzi oppositivi, iperattivi, depressi, con la didattica online. Alla lunga la didattica online esclude i soggetti più deboli e svantaggiati, favorendo l’esclusione sociale e la dispersione scolastica, compiendo così la più grave delle iniquità.

QUESTIONE DI PIL

Ci sono studi che dimostrano quanto una scuola ben finanziata, efficiente, con docenti motivati e formati, abbia ricadute positive sul PIL. Una società istruita è più ricca e più sana. Vale anche il contrario, ovviamente. E non è un segreto per nessuno che la didattica a distanza abbia lasciato voragini nella preparazione degli studenti. Chiudere la scuola, e mandarla “a distanza” fingendo che non cambi nulla, procura un danno a lungo termine al paese. Certo, protegge la salute dei docenti – quelli italiani sono i più vecchi d’Europa e certo non sono felici di stare rinchiusi in classi pollaio dove il distanziamento è una chimera e la mascherina un optional – ma si fa un danno ai ragazzi e alla società tutta. La scuola è l’ultima cosa che deve chiudere per la semplice ragione che produce futuro. E il futuro è tutto ciò che ci resta.

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