Mentre con una mano gioca la carta del cosiddetto “sovranismo” – quel misto di nazionalismo confessionale antieuropeista venato di razzismo cui assistiamo compiaciuti e imbelli da ormai troppo tempo – con l’altra mano il caro leader del Carroccio punta all’autonomia “differenziata”, pasticcio cialtrone che rimesta nel vecchio secessionismo padano. Sovranismo e nordismo, una contraddizione agli occhi di chi crede ancora – oh anima candida! – che la politica sia esercizio di coerenza ideologica e non mero opportunismo per fini elettorali. Ma va beh.

Prima gli italiani! – dice lo slogan – (del nord, s’intende). Ma nemmeno tutti, solo quei ‘padani’ che sono bacino elettorale, e degli altri chissene. La faccenda dell’autonomia differenziata lo mostra bene. L’autonomismo è una questione molto seria e delicata. La superficialità leghista nuoce anzitutto alle regioni che l’autonomia, quella speciale, già ce l’hanno, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia in primis, che dell’autonomismo nordista rischiano di essere le prime vittime.

Poiché l’autonomia leghista è chiusura egoista, pretesa superiorità morale, secessione dei ricchi – che se sono ricchi, lo sono sulle spalle dei poveri, di quelle regioni colonizzate e sfruttate da centocinquant’anni – e può generare uno sbrindellamento dell’unità nazionale e un conseguente rigurgito nazionalista posticcio e patriottardo, tipico degli italioti, oppure un distacco e un rifiuto verso l’autonomismo che riguarderà tutti e nuocerà a tutti. Quando si faranno i conti con il fallimento (storico ed economico) dell’autonomia differenziata, sarà il concetto stesso di autonomia – uscito distorto dal leghismo, a essere messo in discussione. Il rischio che si correrà sarà quello di buttare il bambino con l’acqua sporca.

Perché l’autonomismo non si può inventare. Nel nostro paese esso si fonda su precise ragioni storiche, su peculiari economie locali fortemente intrecciate alle particolarità del territorio, e tende a garantire spazi di autogoverno a comunità locali linguisticamente e culturalmente periferiche o, persino, vittima di un nazionalismo da cui si è cercata ovvia tutela. Non si può immaginare di costruire un autonomismo fondandolo su ragioni di ordine fiscale, qual è poi quello di matrice leghista.

Certo, l’autonomia, quella speciale, ha anche delle ricadute di ordine fiscale ma esse sono una conseguenza, non la causa, dell’autogoverno.

Occorre infine considerare che l’autonomia speciale non è comunque uguale per tutte le regioni che ne beneficiano ma sussistono vistose differenze. L’autonomia in se stessa non risolve i problemi economici e non porta maggiore benessere. La Sicilia è lì a dimostrarlo. Solo una responsabile e corretta gestione della cosa pubblica da parte delle classi dirigenti locali, la comunanza di visione tra classe dirigente e cittadini, la partecipazione di ogni settore della società al conseguimento del bene comune, portano al benessere. Le classi dirigenti lombarde o venete, variamente e ciclicamente implicate in gravi casi di malversazione, corruzione, appropriazione di denaro pubblico, saranno in grado di gestire correttamente l’autonomia?

La sensazione è che tali classi dirigenti ambiscano a mettere le mani su tutta la torta, così da poterla mangiare intera, senza doversi accontentare dell’attuale fetta. Se così fosse, l’autonomia da lor signori proposta, sarebbe qualcosa da cui ben guardarsi.

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