Il tennis è uno sport che non si presta facilmente alla narrazione letteraria. La sua pratica, così come la passione voyeuristica di chi ama contemplare il gioco, separa gli aficionados dal resto dei mortali, segnando una distanza incolmabile, che attiene alla comprensione profonda del rito, al pathos di chi partecipa alle competizioni, alla misteriosa dipendenza che può scatenare nei suoi adepti.

Scrivere di tennis, dunque, è esercizio rischioso, per la difficoltà di ricostruire gli eventi fisici del gioco, l’aura delle partite, i gesti dei campioni, l’emozione concentrata e non comparabile di pochi momenti topici dei match: è certo possibile narrare il corso delle grandi partite, con il rischio però di smarrire la drammaticità del loro sviluppo, l’atmosfera peculiare d’ogni singolo incontro, accumulando narrazioni successive che finiscono per generare il racconto di un solo e interminabile match, in cui si confondono per sempre gli eroi protagonisti.

Conosce bene le difficoltà del tema, l’autore di questo libro, Vite brevi di tennisti eminenti, e riconosce senza timori di appartenere a quella ristretta fascia di appassionati quasi maniacali, per cui lo sport è ormai inestricabilmente infiltrato nell’esistenza personale, e innerva di sé quasi tutte le attività quotidiane. Questa miscela di consapevolezza letteraria e di meraviglioso fanatismo tennistico, permette all’autore di aggirare l’oggetto della propria passione, e di affrontarlo in modo laterale, senza l’ardire dell’impossibile impresa, misurandosi con la totalità ineffabile.

La sua scelta è quella di cercare lo spirito misterioso del tennis nelle vite e nei gesti di numerosi suoi interpreti, scegliendo però accuratamente campioni di altre epoche, atleti grandi ma quasi dimenticati, situazioni ai margini del gioco effettivo, vite private concluse amaramente, uomini originali e meno conosciuti dal pubblico. Poi, a scatenare le narrazioni, e le divagazioni, fotografie d’epoca, da cui parte ogni racconto, da cui si genera la spirale degli eventi, da cui le storie private dei giocatori si allargano alle vite degli altri, e all’epoca cui li ha consegnati la sorte. Gli anni cinquanta spirano da queste fotografie, coi nomi di campioni quasi dimenticati: Vic Seixas, Tony Trabert, Ken Rosewall, Lewis Hoad, Jaroslav Drobny, Pancho Gonzales, Beppe Merlo, Maureen Connolly, Gussie Moran, sino all’eterno Nicola Pietrangeli e al suo leggendario match di fine carriera nel 1970 contro Adriano Panatta.

L’appassionato di tennis non potrà che seguire avidamente il nitido ritratto di un’epoca, ma anche il lettore ignaro di questo mondo e della sostanza drammatica di questo gioco, potrà con piacere immergersi nelle narrazioni, e scoprire personaggi perfettamente letterari, vite spesso difficili, destini imprevedibili come la sorte che spesso decide i momenti cruciali di un incontro. Si prova certo la sensazione che il tennis narrato in questo lungo racconto sia già uno sport favoloso consegnato alla storia, a un’epica di gesti bianchi e di un agonismo non ancora estremo come quello contemporaneo.

Resta nella memoria la foto di Hoad e Rosewall che conversano, sulle tribune dello stadio vuoto di Forest Hills, mentre in campo si svolgono i trials per scegliere i giocatori americani di Coppa Davis: il silenzio, la posa plastica degli atleti in campo, una quiete soprannaturale, portano forse in sé il mistero del tennis, di questo sport colmo di vuoti e silenzi, retto da invisibili forze e geometrie, sul campo e nella mente dei suoi giocatori.

 

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