Sono scomparsi gli asini dalle scuole italiane, eppure i nostri studenti restano i più ignoranti d’Europa. Che succede?

LA SCOMPARSA DEGLI ASINI 

La situazione è ormai allarmante: nelle scuole, oltre a carta igienica, banchi, aule, palestre, finestre, ossigeno, sono venuti a mancare anche gli asini. I somari, che da tutti i tempi scaldano povere innocenti sedie, sono oggi una specie in via d’estinzione. Il ministro ponga rimedio. Poiché l’asinità ha una funzione critica, di rovesciamento, ironia e parodia dell’istituzione e delle sue regole, palestra di libero pensiero contro le presunzioni di una cultura bigotta e retorica. L’asino è infatti bestia intelligente, ed esistendo rivendica il valore della vita materiale, quella vissuta fuori dalle scuole e che Seneca – micacazzi – riteneva la migliore maestra. Non scholae sed vita discimus. Il somaro è quindi espressione libertaria, oppositiva, ma anche lezione d’umiltà, consapevolezza, onesto raglio fuori dal coro, cavalcatura persino di nostro Signore quando entrò nella città santa.

L’asino, va detto, non nasce tale ma è spesso il frutto di ingiustizia sociale e diseguaglianza economica. Oggi che sono venute meno le più sostanziali differenze di ceto, sia materiali che morali, l’asinità ha perso la sua forma genuina tramutandosi in crassa e pretenziosa ignoranza. Arrogante, lucidata, plastificata ignoranza. Esibita e tronfia. Gli esemplari di tale specie sono di natura ovina, belanti per lo più, frutto della cattività in cui sono cresciuti e di un modello sociale che propaganda l’immediato, il facile, l’incompetenza come valore, il gregge come termine di paragone.

LE CAPRE E IL POPOLO

Questi capri, nient’affatto espiatori, abbondano nelle nostre scuole. Promossi, spesso anche con buoni voti, si applicano a sufficienza nell’arte del belare concetti ruminati male. La loro incompetenza, sancita da pagelle e diplomi, diventa paradigma e si riversa nella società. Talvolta alcuni di questi esemplari giunge alla laurea, e molto si potrebbe dire di come avviene la selezione del merito nel nostro paese.

Questi ignoranti non sono oppositivi, ma conformisti. Non sono veraci, ma superficiali. Non sono consapevoli dei propri limiti ma berciano di cose che non sanno, irridendo chi le sa: gli insegnanti, in età scolare; gli specialisti, in età adulta, a loro volta generando altri ovini. La società è oggi piena di questa individui che tutto presumono di sapere, dalla genetica alla storia, dalla medicina all’economia. Così abbiamo bambini morti di morbillo e un cafone come ministro del Lavoro.

Mi si dirà adesso che questa invettiva è la solita manifestazione di disprezzo aristocratico verso il popolo. Nient’affatto, è un grido d’allarme poiché alla scomparsa degli asini si associa l’incremento dell’ignoranza. Può sembrare un paradosso ma – dati alla mano – è così.

IL PARADOSSO ITALIANO

Ed eccoli i dati. I più interessanti e utili sono quelli forniti dal programma per la valutazione internazionale dello studente (PISA). Si tratta di un’indagine promossa dall’OECD che si svolge a cadenza triennale allo scopo di rilevare tre competenze fondamentali per ogni individuo: la competenza alfabetica funzionale (literacy), ovvero la comprensione di testi in prosa; la competenza matematica (numeracy), ovvero la capacità di usare la matematica in diversi contesti; la capacità di analisi e soluzione di problemi (problem solving), ovvero la capacità di raggiungere uno scopo in una situazione in cui non esiste una procedura predefinita.

Ebbene, il nostro paese si trova agli ultimi posti della classifica, confermando un dato negativo che perdura da quando il programma è iniziato, nell’anno Duemila. In quindici anni non si sono registrati miglioramenti mentre un peggioramento è stato rilevato nella competenza linguistica degli studenti italiani.

Eppure gli studenti italiani sono quelli che passano più ore a scuola rispetto agli omologhi europei, quelli che trascorrono più ore a studiare (50 in media), quelli che hanno più professori pro-capite (9,7 circa, contro i 14 della media europea). Non solo. Negli anni in cui i test PISA misuravano le scarse competenze dei nostri studenti, aumentava il numero di laureati. Un paradosso.

Secondo i dati Eurostat del 2018, circa il 26% degli italiani tra i 26 e i 35 anni è laureato. Eppure, stando ai test PISA, è da 15 anni che gli studenti italiani si trovano ai livelli più bassi in Europa. Solo il 2% di loro rientra nei livelli più alti di competenza linguistica e matematica. Un dato invariato dall’anno Duemila ad oggi. Insomma, quei laureati sono gli stessi ovini misurati dai PISA quindici anni fa. E fra quindici anni ne avremo altri.

UN PROBLEMA PROFONDO

Il problema, dunque, è molto più profondo di quanto sia lecito immaginare. Le riforme della scuola, ben quattro dal Duemila ad oggi, non hanno scalfito il monolite di ignoranza prodotto dalle nostre scuole. Anzi, concentrandosi su aspetti formali o nominalistici, hanno ingarbugliato l’attività didattica con lacciuoli vari incrementando il gravame burocratico senza smuovere di un millimetro la qualità didattica. L’impegno degli insegnanti, come anche il loro (frequente) disimpegno, non incide in bene né in male. Sono ingranaggi, spesso consunti, di una carrucola ormai arrugginita. Altro che ascensore sociale! Il pozzo è profondo, più profondo di noi.

 

 

 

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